Allora, chi c’è rimasto a bottega?

L’indispensabile spinta all’innovazione, alle competenze trasversali, a comprendere quali

siano i migliori strumenti gestionali, nella “rivoluzione digitale”, non devono farci perdere di vista la vision di ogni HRM, la gestione delle risorse umane, ma soprattutto non deve distrarci dall’azione più importante: migliorare le persone. 

 

L’aneddoto che mi torna in mente è la situazione narrata in una barzelletta.


Un commerciante oramai moribondo giace nel suo letto, contornato da tutti i suoi cari. Con un filo di voce si sincera, chiamandone uno ad uno, di chi fosse accorso al suo capezzale. Quando realizza che ci sono proprio tutti, il commerciante morente urla:

“Ma disgraziati! Allora chi c’è rimasto a bottega?”


Proprio così, pur impegnati in attività e riflessioni fondamentali non dobbiamo dimenticare la gestione del presente, della quotidianità.

Tanto è vero che i dati della Ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice indicano che il mercato del lavoro sta cambiando grazie, si, alla spinta innovativa della “Digital Trasformation” ma anche alle riforme promosse dal Governo.

Proprio su queste ultime vorrei soffermarmi. In questi giorni si rincorrono le notizie sull’effettiva operatività dell’ANPAL, l’Agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro, prevista dal Jobs Act D. lgs 150/2015, che dal prossimo giugno dovrebbe attivare la riforma della Rete di servizi per le politiche del lavoro e rappresentare così, un tassello importante per la realizzazione della flexicurity.

Trascorso oltre un anno dai primi decreti legislativi, forse, la Legge delega 183/2014 non ha ancora spiegato tutti i propri effetti per essere volano di un circuito virtuoso della flessibilità.

Quali sono le considerazione che possiamo condividere dopo un anno di applicazione sul campo?

Io vorrei condividere alcune riflessioni emerse durante due giornate di formazione, che ho tenuto presso ISPER, durante le quali abbiamo trattato di ammortizzatori sociali e contratto a tutele crescenti.

Dopo anni di interventi a pioggia, possiamo dire che questo intervento è una riforma organica della materia e che ha dato ampio spazio all’azione governativa fin dall’approvazione parlamentare (è stata posta la fiducia da parte del Governo, al contrario della famigerata Riforma Monti/Fornero che seguì l’ordinario iter parlamentare come DdL).  Un così rapido iter è forse alla base di alcuni dubbi di incostituzionalità, per eccesso di delega (trasformazione a tempo indeterminato dei contratti determinati e apprendistato; campo di applicazione per le piccole imprese organizzazioni di tendenza).

La riforma, in particolare con il contratto a tutele crescenti, risponde alla visione di un mercato del lavoro considerato frenato dalla tutela reale della reintegrazione, dove il giudice del lavoro ha troppa discrezionalità e il costo della risoluzione è un rischio economico alto ed incerto.

Questi sono i presupposti sui quali poggia un impianto basato sulla maggior flessibilità in uscita e che fa dell’elemento temporale la chiave del campo di applicazione. L’obiettivo sembra essere anche quello di ridurre il contenzioso giudiziario con l’abolizione del rito “Fornero” e la quasi totale eliminazione della tutela reale ed una forte spinta all’offerta indennitaria.

Questo, potrebbe portare ad una focalizzazione della giurisprudenza nell’ambito del licenziamento discriminatorio, sempre molto controverso ma che rimarrà quasi l’unico elemento del processo di reintegrazione, insieme all’altra fattispecie determinata dal “fatto materiale” e sul quale i giudici, forse, interverranno per allargarne il concetto.

In sintesi, in una riforma che pone come base la tutela risarcitoria, la funzione della reintegrazione non è più il rimedio contrattuale previsto a vantaggio della persona, ma è vista, piuttosto, come un deterrente di natura punitiva, contro i due specifici comportamenti del datore di lavoro:

  • Discriminazione

  • Contestazione di fatto mai accaduto

D’accordo che oggetto del diritto non è più il singolo posto di lavoro, ma per far si che tutto il sistema flexicurity funzioni, sarebbe stato necessario che le politiche attive e passive fossero state efficaci con gli stessi tempi della norma per la flessibilità in uscita.

Anche questi sono elementi con i quali dobbiamo confrontarci tutti i giorni e le riflessioni ed i dibattiti che ne scaturiscono sono essenziali per comprendere quale possa essere la più opportuna applicazione.

Mi rendo conto che argomenti più legati alle norme hanno certamente meno appeal e fanno meno presa rispetto a Smartworking, engagement, leadership e chi più ne ha più ne metta.

Ma ogni tanto dobbiamo ricordarci che il rapporto di lavoro è basato anche su regole e noi HRM, da bravi allenatori, dobbiamo conoscerle meglio dei nostri giocatori, per spiegarle e per applicarle nella maniera ottimale utile all’organizzazione e soprattutto alle persone che le compongono.

Anche se gli aspetti gestionali più soft, sono essenziali, non possiamo dimenticarci di essere presenti nel quotidiano, altrimenti ci sentiremo urlare dietro….  

chi c’è rimasto a  bottega?

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Amo relazionarmi, amo gli sport di squadra (in particolar modo, il basket) ed amo le sfide. Sono curioso, ma non ficcanaso, e ciò mi porta a conoscere ed imparare cose nuove, ogni giorno. Recentemente, la curiosità di comprendere gli sviluppi dell’’attuale contesto giuslavoristico, mi ha portato ad ottenere la Laurea in Servizi Giuridici per l’Impresa, facoltà di Giurisprudenza. Questo sono io, dopo poco meno di mezzo secolo di vita, dopo l’essere padre, da circa quindici anni, di una splendida figlia e dopo una ventina di anni di esperienza in diverse direzioni risorse umane. Attualmente, oltre al Coordinamento delle attività Normative del personale, nella Direzione Risorse Umane di Atac SpA, ho il piacere di collaborare con il Centro Studi di AIDP con il quale cerco di sviluppare argomenti di attualità. In particolare, ho sviluppato interesse per il tema del “dialogo” inteso come ponte per mettere in relazioni le diversità, con l’obiettivo di trasformarle in risorse, alleanze, sinergie e ove non fosse possibile, di coesistere con esse. Dialogo, nel senso, soprattutto, di saper ascoltare e a tal proposito mi piace ricordare una frase, tratta da un libro di Don Andrea Gallo :“L’importante è tendere l’orecchio oltre le ristrette mura della nostra angusta cerchia dei soliti noti. Dal DIALOGO con i laici, con gli atei, con gli agnostici, con i credenti di altre religioni non possono che nascere curiosità, rispetto tolleranza e amicizia.” Per il futuro? E’ questo lo spirito con cui mi impegno ad approcciare in ogni azione che mi trovo e mi troverò a compiere.

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