Smart Organization

Organizzare il lavoro nell’epoca dello Smart Working, in una realtà sociale dove nulla è più come prima e dove la discontinuità ha operato una cesura tra la recente visione del mondo del lavoro e l’attuale, è necessario innovare anche il concetto di prestazione o meglio il concetto di una diversa modalità di effettuazione della prestazione.26_smart-working-org

Certo, sono passati quasi 18 anni quando, divenuto papà, cercai il modo di passare meno tempo in ufficio e qualche ora in più a casa. Venne un collega che portò un personal computer e un “aggeggio” che con una richiamata dalla linea dedicata dell’azienda come per incanto la connessione al sistema telematico fu attivata.

Ma come si sarebbe calcolata la presenza? e il mio capo come avrebbe potuto controllare il mio lavoro?; sarei stato considerato un lavativo o un raccomandato?

Eppure erano oramai tre anni che era in vigore il cd “pacchetto Treu” che per la prima volta parlava di telelavoro.

Come si suol dire, ne è passata di acqua sotto i ponti se ora, in Francia, è stato introdotto il diritto alla disconnessione (sole 24h).

Il telelavoro è passato come un meteora e ora lo strumento che sta appassionando il mondo del lavoro è lo smartworking che dovrebbe essere inteso come una nuova visione del lavoro subordinato, un sistema che trae la sua efficacia dalla cultura del lavoro stessa.

Pertanto una modalità di prestazione che per meglio dire è SmartAreeun progetto di change management e che poggia su quattro aree di intervento,   CULTURA, ECONOMICA, NORMATIVA e ORGANIZZAZIONE sulla quale vorrei soffermarmi con una riflessione.

Fattor comune delle organizzazioni è l’esercizio del “governo” dell’organizzazione, o per meglio dire la gestione del Potere.

Se intendiamo l’organizzazione, sia come “artefatto” (pianificato-progettato-costruito) capace di realizzare determinati output in modo razionale ed economico, sia come “comunità” di soggetti; l’azione di dirigere potremmo interpretarla come la capacità di ascoltare le “ragioni delle persone e le ragioni dell’organizzazione”

Se la osservassimo invece dalla prospettiva di natura del sistema, è essa stessa un sistema vivente ed anche in questa accezione si riscontra una dualità; è un sistema chiuso in quanto tende alla conservazione e alla riproduzione di se, aperto poiché in osmosi con l’esterno; approcceremo il dirigere, sviluppando la capacità di “essere fra”, sia nell’osmosi interno\esterno, sia come frontiera interna fra i timori del nuovo ed il desiderio/necessità di andare oltre.

E come detto, qualsiasi sia l’accezione che si intende dare all’organizzazione si è in presenza del relativo sistema “gerarchico” che, riconosciuto da tutti, ha il ruolo di gestire efficacemente le funzioni della vita collettiva. Oggi più che mai è però necessario che non ecceda in autoritarismo, soffocando il “potere personale” di ciascuno dei componenti dell’organizzazione stessa, facendo venir meno legami creativi e generativi individuali.

Esercitare il potere direttivo dovrà piuttosto significare educare all’ all’interdipendenza, la capacità di instaurare reti di relazioni adeguate al mutare dei problemi, dei contesti e delle situazioni.

Oggi servono benessere e dialoghi organizzativi, non solo per star bene, ma anche per produrre risultati.

Governare una società, è un’azione da esercitare in una dimensione più ampia ed etica, più solidaristica. E’ certamente anacronistico ridurre la gestione di un’organizzazione alla limitata ed improduttiva razionalità dell’obiettivo “qui e ora”;


non è produttivo, un ambito di ipercompetizione dove c’è “lotta contro” e non “lotta per”.


Per far ciò, è necessario che la struttura organizzativa sia sempre più incline al continuo cambiamento, perché oggi i tempi sono rapidi e l’innovazione, per essere sempre competitivi, non sono compatibili con i tempi gerarchici.

Esiste un modello alternativo?

La risposta sembra poter arrivare, come spesso capita, da oltre oceano e portata in Italia da David Stark (Professore di Sociologia alla Columbia University, dove dirige il “Center on Organizational Innovation”). Il suo recente libro, The Sense of Dissonance, è il manifesto del suo pensiero.

L’alternativa è rappresentata dall’Organizzazione Eterarchica.

L’eterarchia riconosce l’importanza di pluralità di metriche, ordini o convenzioni per la creazione del valore, agevolando la concezione di valori dissonanti “organizzazione della diversità e diversità nelle organizzazioni”.

Importanti, le azioni di innovatori capaci di creare valore della “creative friction” tra queste visioni plurali.

L’elemento cruciale delle organizzazioni è pertanto rappresentato dalla convivenza di più principi, convenzioni di creazione di valori che non separino le dimensioni economiche, tecniche, cognitive e morali.

Creare così una social organization nella quale l’approccio allo smart working sia utile alla creazione di valore necessario all’organizzazione e all’individuo.

Guardando a casa nostra, siamo certi di poter dire che, l’imprenditoria, le organizzazioni, sono pronte ad un passaggio che produce una cesura netta sul modo di concepire l’organizzazione gerarchica?

 

Inoltre, gli “innovatori”, i manager, sono pronti ad intraprendere un’avventura così sfidante?

 

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Amo relazionarmi, amo gli sport di squadra (in particolar modo, il basket) ed amo le sfide. Sono curioso, ma non ficcanaso, e ciò mi porta a conoscere ed imparare cose nuove, ogni giorno. Recentemente, la curiosità di comprendere gli sviluppi dell’’attuale contesto giuslavoristico, mi ha portato ad ottenere la Laurea in Servizi Giuridici per l’Impresa, facoltà di Giurisprudenza. Questo sono io, dopo poco meno di mezzo secolo di vita, dopo l’essere padre, da circa quindici anni, di una splendida figlia e dopo una ventina di anni di esperienza in diverse direzioni risorse umane. Attualmente, oltre al Coordinamento delle attività Normative del personale, nella Direzione Risorse Umane di Atac SpA, ho il piacere di collaborare con il Centro Studi di AIDP con il quale cerco di sviluppare argomenti di attualità. In particolare, ho sviluppato interesse per il tema del “dialogo” inteso come ponte per mettere in relazioni le diversità, con l’obiettivo di trasformarle in risorse, alleanze, sinergie e ove non fosse possibile, di coesistere con esse. Dialogo, nel senso, soprattutto, di saper ascoltare e a tal proposito mi piace ricordare una frase, tratta da un libro di Don Andrea Gallo :“L’importante è tendere l’orecchio oltre le ristrette mura della nostra angusta cerchia dei soliti noti. Dal DIALOGO con i laici, con gli atei, con gli agnostici, con i credenti di altre religioni non possono che nascere curiosità, rispetto tolleranza e amicizia.” Per il futuro? E’ questo lo spirito con cui mi impegno ad approcciare in ogni azione che mi trovo e mi troverò a compiere.

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