CO-WORKING: spazi flessibili Italian Version
- Pubblicato in Nuove professioni
- Scritto da Marianna Antenucci
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Eccomi nuovamente. Mi piace iniziare questo articolo con un collegamento a un altro scritto qualche mese fa. Quando nel tentativo di dare una chiave di lettura a una professionalità e al sistema più idoneo che potrebbe supportarla accennavo al co-working. Per non dimenticare!
Ai tempi sapevo che prima o poi sarei arrivata a parlare di questi spazi di lavoro-incontro, forse aspettavo il momento più idoneo. Questo momento è arrivato a seguito di un’interessante chiacchierata con Andrea Solimene: Project Manager, Strategy & Marketing Advisor. Esperto personal branding e smart working. Una figura eclettica, insomma. L’incontro con Andrea, che ama definire il suo percorso professionale “Serendipity” = capacità di inseguire le opportunità, è nato dalla necessità di approfondire quella trasformazione culturale conosciuta come Smart Working. Dopo una serie di riflessioni il nostro confronto è caduto sul potenziale inespresso degli spazi co-working italiani.
Di co-working se ne è parlato in lungo e in largo, ho avuto modo di leggere articoli molto interessanti, con Andrea mi è piaciuto guardare questa realtà attraverso gli occhi di chi per lavoro la vive nella sua quotidianità. Partendo dal presupposto che il co-working per le sue caratteristiche, per i valori di cui si fa portatore, è uno degli snodi fondamentali per una realtà o per le realtà che si affacciano alla versione smart di se stesse …
La nascita di nuovi approcci lavorativi (lo Smart Working in azienda ad esempio, ho scritto un ebook http://www.thesmartworkingbook.com/ insieme ai miei soci proprio sul tema) spinge ognuno di noi a rivedere modi, tecnologie e spazi di lavoro. I co-working rappresentano una delle alternative in termini di spazio per lavorare in mobilità seppur i casi italiani hanno ancora molto da apprendere dalle esperienze estere. In Olanda, paese in cui mi capita spesso di lavorare, ci sono numerosi co-working e la condivisione di spazi, idee ed esperienze è prassi. Qui in Italia siamo ancora troppo legati alla cultura del possesso e, pertanto, concetti quali community e sharing economy trovano qualche difficoltà ad affermarsi.
Cultura. Il nostro presente è permeato dallo sforzo di cambiare direzione, pensarci in maniera diversa. Di andare verso un nuovo normale. Detto così sembra tutto molto semplice ma nella realtà dei fatti è ancora la comfort zone a predominare, per scardinarla abbiamo necessità di “attori moderni” che per formazione, sensibilità e lungimiranza si fanno traghettatori dal vecchio al nuovo.
Nella mia esperienza ho notato che molti dei co-working italiani sono degli “affitta-postazioni” piuttosto che spazi di condivisione. Credo sia un aspetto prettamente tradizionale che con il tempo subirà qualche modifica. Lo spero. Per questo auspico l’introduzione di una figura professionale all’interno dei co-working che faccia da facilitatore. Un vero “community manager” , una persona che presenta le opportunità, introduce le persone, organizza incontri, crea opportunità di incontro e di crescita, crea le basi per facilitare un cambiamento positivo.
Facilitare. È questo quanto viene richiesto ai Manager Moderni. Il parallelismo è presto fatto – a livello di professionalità – con lo Smart Working dove il Manager Moderno è colui che funge da anello di congiunzione tra la realtà aziendale e quella esterna. Ripensarsi culturalmente significa quindi anche ri-disegnare dei profili professionali.
“Capacità comunicative, empatia, pianificazione, organizzazione e conoscenza di strumenti digitali”. Sono queste alcune delle competenze che, secondo Andrea, dovrebbe possedere chi si fa artefice del cambiamento.
Facilitare è una parola cara ad Andrea che con Seedble, business accelerator, si pone l’obiettivo di facilitare il cambiamento all’interno delle organizzazioni con l’ambizione di “creare una generazione di imprenditori e manager protagonista del cambiamento e del futuro in grado di avviare organizzazioni agili e innovative”. Non banale direi! Motivo per cui mi è parso opportuno chiedere su cosa è necessario puntare per rendersi reattivi al nuovo contesto culturale:
bisogna sviluppare competenze trasversali per integrarsi al meglio nelle organizzazioni moderne e avere una visione più ampia del lavoro. Credo abbia più senso ricercare attitudini piuttosto che competenze, in quanto queste ultime – soprattutto quelle hard – si evolvono rapidamente e rischiano di diventare presto obsolete. Avere un livello di profondità molto elevata della competenza tecnica è sicuramente un punto di forza, ma l’eccessiva specializzazione rischia di rappresentare un limite se non viene sfruttata strategicamente. A chi si affaccia al mondo del lavoro o deve ricollocarsi consiglio di ragionare come una startup, leggete il libro di Reid Hoffman e Ben Casnocha “Teniamoci in contatto” è illuminante. Per quel che mi riguarda cerco di rimanere sempre aperto al cambiamento. Non si finisce mai di imparare. Voglio anche sottolineare che la flessibilità del mio lavoro mi permette di viaggiare molto e questo aiuta. Mi muovo tra Roma, Milano, L’Aia e Mosca senza problemi. Questo mi aiuta a confrontarmi con più culture, stili di vita e di lavoro e soprattutto imparare molto. Appunto è qui il segreto: essere sempre in una versione “beta” pronto a imparare per evolversi.
Spero che il punto di vista di Andrea possa essere uno spazio di confronto e di proposta per far venire fuori il potenziale inespresso di questo tipo di spazi al fine di un miglioramento utile ad alimentare e supportare le necessità delle nuove dinamiche lavorative.