Relazioni industriali, dialogo nel mondo del lavoro
- Pubblicato in Gestione risorse umane, Strumenti per il mio lavoro
- Scritto da Corrado Cingolani
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Nelle organizzazioni industriali, o più in generale aziendali, che ora volgono alla semplificazione, ora a momenti di gestione delle complessità, quale ruolo potrebbe avere il dialogo e come potrebbero incidere le relazioni industriali?
Nell’articolo “IL DIALOGO, UN PONTE PER NON RIMANERE ISOLATI NEL PASSATO” ho considerato il dialogo stesso, quale elemento nodale per affrontare la complessità, per un organizzare inteso come costruire e ricostruire frontiere, stabilire connessioni e lavorare sui processi.
Questo porta certo a maggiori rischi e costi nell’investimento, per rendere le differenze comprensibili e integrabili.
Ed in questa situazione, un particolare tipo di dialogo è certamente rappresentato dalle relazioni industriali quale contesto normativo (web of rules) dei rapporti tra interessi organizzati, negli aspetti strutturali e nei loro effetti sugli equilibri politici, economici e sociali.
Ha lo stesso oggetto del diritto sindacale (quale parte del diritto del lavoro che concerne il sistema di norme strumentali, poste dallo stato o dalle stesse organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori, che, nelle economie di mercato, disciplinano la dinamica del conflitto di interessi derivante dall’ineguale distribuzione del potere nei processi produttivi – Giugni, Diritto Sindacale 2014) ed è un fenomeno tipicamente moderno, evolutosi parallelamente alla storia del movimento operaio, riflettendo la contrapposizione tra capitale e lavoro, “conflitto industriale”.
Oggi, il venir meno dei grandi conflitti ideologici, ha certamente cambiato il paradigma capitalista-proletario tendenzialmente sostituito da un rapporto tra chi “governa” l’organizzazione (che non necessariamente è il proprietario) e chi mette a disposizione, non più solamente la propria forza lavoro, ma il suo essere risorsa umana.
Con il mutare del contesto sociale, l’attuale scenario di riferimento evidenzia un declino dell’economia italiana i cui fattori vanno ricercati, oltre agli effetti degli accadimenti internazionali, nella crisi della grande industria, nella minore competitività industriale nei mercati (esterni ed interni) e nella domanda di beni di alto contenuto tecnologico, in cui l’industria italiana non ha una sufficiente presenza.
Necessario pertanto sarà il miglioramento delle condizioni di competitività delle imprese e del reddito dei lavoratori.
Assistiamo quindi all’aumento della disoccupazione come diretto effetto della scarsa competitività, che vede quali fattori, con un’incidenza negativa e disincentivante degli investimenti, le carenze infrastrutturali, l’eccesso di burocrazia, i tempi lunghi della giustizia civile e l’infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema economico.
Un cenno di ripresa, che si dimostra comunque ancora debole e discontinuo, fa immaginare che solo parte dei lavoratori posti in Cassa Integrazione Guadagni, possa essere riassorbita e soprattutto che la conseguente crisi sul mercato del lavoro durerà nel prossimo futuro.
E’ qui che il sistema di relazioni industriali, insieme con un più funzionale mercato del lavoro, assume un ruolo fondamentale per contribuire realmente al recupero della competitività, rendendo più attrattivo il sistema Italia per gli investimenti, presupposto per migliorare i livelli di occupazione.
Ritornando per un attimo alla domanda iniziale, chiediamoci, quali caratteristiche dovrebbe però avere un sistema di relazione industriale adeguato ad un contesto così critico?
Partiamo da cosa non va, infatti, negli anni il sistema di Relazione Industriali è stato criticato rispetto ad alcune sue caratteristiche:
- nella posizione baricentrica del contratto collettivo nazionale;
- nell’indeterminatezza della rappresentanza sindacale nei tavoli di confronto;
- nella mancanza di efficacia “erga omnes” delle intese raggiunte;
- nella carenza di regole per l’esigibilità delle intese raggiunte;
- nella diversa articolazione delle posizioni sindacali a seguito della conflittualità tra principali sindacati.
Gli elementi positivi, si riscontrano invece con il tentativo di porre rimedio, avvenuto nel corso dell’anno 2011, in particolare con l’Accordo Interconfederale del 28 giugno e con l’Art. 8 della L. 148/2011, con analoghe finalità, introducono intese e disposizioni volte a superare dette criticità, con particolare riferimento alla regolamentazione della contrattazione aziendale, alla rappresentatività e all’esigibilità di detta contrattazione, oltre alla valenza “erga omnes” di specifiche intese di II livello, al ricorrere di condizioni di rappresentatività previste.
Il rovescio della medaglia è la dimostrazione che però, non sono le sole regole ad essere sufficienti a dirimere conflitti ed a rendere strumenti funzionali gli accordi tra le parti.
Sono indicatori di quanto detto, da una parte il c.d. “caso FIAT” che delle nuove norme ne ha sfruttato l’uso per determinare una contrattazione aziendale al di fuori del contratto nazionale di riferimento (CCNL Metalmeccanico) e del conseguente disconoscimento della compagine sindacale, non firmataria di tale contrattazione e dall’altra, la successiva sentenza n. 231/2013 della Corte Costituzionale, che è invece intervenuta sull’incostituzionalità dell’Art. 19 Lett. b) L. 300/70, che collide con i precetti degli Artt. 2,3,9 della Costituzione, non permettendo ad una organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativa, la presenza nelle trattative.
Il concetto di rappresentanza e rappresentatività è ripresa nell’accordo del 10 Gennaio 2014, cd Testo Unico della Rappresentanza (siglato da Confindustria, CGIL, CISL, UIL), con il fine di determinare oggettivamente i soggetti partecipanti, secondo regole dettate dallo stesso accordo e sicuramente valido parametro di valutazione per il giudice chiamato a decidere su una eventuale controversia.
Provando a tirare le conclusioni, mi sento di poter dire che il sistema di relazioni industriali, visto come dialogo sociale, sarà utile nel momento in cui riesca a trovare la sua legittimazione in una posizione adeguata ai tempi, alle criticità ed alle dinamiche sociali del nostro tempo.
Saranno pertanto necessarie determinazioni di regole chiare, accordi esigibili “erga omnes” (a determinate condizioni), spinta ad accordi di secondo livello (in particolare aziendali), che possano in determinate circostanze anche superare quanto previsto nei contratti nazionali di riferimento.
Tali elementi dovrebbero spingere le parti sociali ad impegnarsi in un percorso univoco, in un sistema di relazioni industriali orientato a “lavorare per” (e non lavorare contro) perseguendo “un modello che privilegi un sistema partecipativo, che abbia la finalità di favorire relazioni in grado di accogliere, con velocità e capacità di intervento, le esigenze di competitività e produttività rappresentate dalle aziende per la crescita complessiva del paese”(Relazioni Industriali ed il lavoro: un nuovo lessico per il territorio- AssiseGenerali Unindustria Roma, Fr, Ri, Vt, 5 novembre 2011).
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