Relazioni e dialogo nell’organizzazione di lavoro – 3 –
- Pubblicato in Gestione risorse umane, Strumenti per il mio lavoro
- Scritto da Corrado Cingolani
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L’azione di “dirigere”, come Government dell’organizzazione macchina/comunità o come Governance, sviluppando la capacità di “essere fra”, nelle osmosi tra i vari sistemi organizzativi che interagiscono convivono, e collidono, sono i temi toccati nei due precedenti articoli.
Fattor comune è l’esercizio del “governo” dell’organizzazione, o per meglio dire la gestione del Potere di governare, da cui hanno origine tutte le relazioni che danno vita all’organizzazione.
Cos’è il potere? Non vorrei certo addentrarmi in discorsi pieni di insidie e che sicuramente sono trattati in sedi molto più titolate di questa, la quale, invece, vuole essere una “chiacchierata” tra colleghi.
Vi propongo perciò la visione che ho tratto dal libro “la classe non è acqua” (M.Tarquini, V. Volpe – Castelvecchi editore 2006) che definisce il potere “capacità di agire socialmente: nasce, infatti, dall’abbandono dell’illusione di onnipotenza, della consapevolezza del proprio limite e della presenza del potere dell’altro, ma anche contemporaneamente dal desiderio di andare oltre, un desiderio che trae origine dal nostro eros”.
In una organizzazione c’è bisogno di gestire il potere e pertanto di persone “potenti”, capaci di assunzione di responsabilità, cioè di quell’energia capace di far esercitare loro le azioni, nei limiti del potere stesso.
Il potere in una organizzazione però, è visto anche in relazione alla posizione organizzativa, tramite la quale è delegato l’utilizzo di mezzi e risorse, quello che potremmo definire potere legittimo, istituzionale e che identifica le gerarchie tra diversi poteri.
Ogni tipo di organizzazione ha il suo sistema “gerarchico” che, riconosciuto da tutti, ha il ruolo di gestire efficacemente le funzioni della vita collettiva, ma fondamentale è che non ecceda in autoritarismo, soffocando il “potere personale” di ciascuno dei componenti, facendo venir meno quei legami creativi e generativi; parafrasando una locuzione alquanto diffusa sui social network potremmo dire che “ chi si sente partecipe ed attore di una organizzazione può procreare, chi si sente suddito può solo ubbidire e ripetere”.
Non a caso, tra quanto ritenuto più problematico ed oggetto di dibattiti organizzativi, troviamo il rapporto che intercorre tra leadership e autorità, dipendenza e autonomia.
E chi dirige? Come può districarsi in maniera efficace ed efficiente tra queste dimensioni aziendali, ancora una volta contrapposte?
Da questo punto di vista, un pensiero autorevole pone l’accento sul sostegno e sull’educazione all’interdipendenza (Paul Waltzlawick – Austria, 25 luglio 1921 – USA, 31 marzo 2007 – psicologo e filosofo, eminente esponente della Scuola di Palo Alto, fu tra i fondatori e tra i più importanti esponenti dell’approccio sistemico), intesa come capacità di instaurare reti di relazioni adeguate al mutare dei problemi, dei contesti e delle situazioni.
Per rappresentare chi dirige mi piace prendere in prestito la metafora che lo vede associato alle sinapsi che collegano le diverse funzioni del nostro cervello e alla “libido” che presiede alla sintassi degli effetti.
Dirigere si configura sempre più in una complessa azione che si articola, non solamente tra soggetti diversi, ma anche fra menti e cuori; significa costruire reti nelle quali persone adulte decidono, perseguono obiettivi, utilizzando il loro “potere”.
Chi dirige, pertanto, opera alla costruzione ed allo sviluppo di comunità volte a scopi terzi ma nelle quali i soggetti investono, poiché contengono almeno una parte di se stessi e delle proprie competenze.